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La birra dei pirati invecchia negli abissi

Un sommozzatore esplora un relitto affondato secoli addietro, fra i resti trova una cassa di antiche bottiglie di birra che si fondono con la vegetazione marina, ricoperte di molluschi taglienti, e con sua grande sorpresa scopre che sono ancora intatte.

Sembra una scena del film i Pirati dei Caraibi, manca solo Capitan Jack Sparrow, ma si tratta di un avvenimento reale.

La vicenda che vi stiamo raccontando è ambientata negli anni ’90 del secolo scorso e ci porta nei mari orientali, nello Stretto di Bass, fra l’Australia e la Tasmania, e coinvolge i birrai e la loro creatività.

Ma procediamo con ordine: innanzitutto precisiamo che stiamo parlando della pratica recente di far “stagionare” la birra sul fondo del mare.

 

Far invecchiare la birra in mare: un’idea che coinvolge i birrai e gli appassionati.

Pare che i birrai in quanto a creatività non abbiano niente da invidiare a nessuna altra categoria di artigiani; nell’ultimo ventennio, per esempio, si sta sperimentando, qua e là, una pratica brassicola particolarmente affascinante: quella di stoccare le bottiglie nel mare, ad una certa profondità, per far stagionare la birra in particolari condizioni ambientali.

Una modalità questa, che ha già riscosso successo anche nel panorama vinicolo con la diffusione delle cosiddette cantine sommerse e che vede alcuni episodi commerciali di rilievo nel mercato italiano.

Alla base di questo processo vi è sicuramente l’opinione di alcuni birrai che i fondali marini, ad una certa profondità, date la temperatura costante e l’assenza di luce solare, costituiscano un ambiente favorevole per mantenere e valorizzare le qualità organolettiche della birra.

L’invecchiamento della birra negli abissi ha un precedente storico, la vicenda che ripercorriamo di seguito è curiosa quanto sorprendente.

La birra della nave Sydney cove si conserva per due secoli sul fondo del mare.

Nel 1796 la società coloniale inglese Campbell & Clark commissiona alla Sydney Cove una rotta commerciale dall’India all’Australia, più precisamente da Calcutta a Port Jackson (attuale porto di Sydney).

Il carico – contenente forniture di legname, grano e provviste tra cui viniliquori e birra – non giungerà mai a destinazione in quanto la nave si arena e affonda il 9 febbraio 1797 al largo della costa settentrionale della Tasmania, nei pressi della Preservation Island.

Quando, negli anni Novanta, l’archeologo marino Mike Nash ed il suo team recuperano il relitto della Sydney Cove, fra le varie merci più o meno deperite vengono ritrovate intatte 26 bottiglie di birra.

La vicenda suscita curiosità: studiosi e ricercatori del Queen Victoria Museum & Art Gallery di Launceston eseguono un’accurata analisi sui campioni di lievito residui, scoprendo che è ancora vivo.

È a questo punto che il birrificio australiano James Squire, in collaborazione con il museo, si cimenta in un’avventura ardua ma stimolante: ribrassare l’antica ale partendo dal lievito recuperato.“Il lievito che ci hanno proposto era particolarmente capriccioso, ma aveva sete di vita. […] Così dopo molti tentativi abbiamo optato per una ricetta inglese del XVIII secolo”.

[Hydon Morgan, mastro birraio – cit. tratta da La Repubblica, 03-05-2018] Dopo vari tentativi infruttuosi nel 2018 Morgan procede con la prima cotta di Wreck Preservation Ale, una birra in stile porter ottenuta con il lievito del diciottesimo secolo. Secondo il birraio Stu Korch il risultato è straordinario:“Domare il lievito non è stato facile. […] Abbiamo posto una particolare cura nell’estrarlo e farlo crescere in una birra che ne esaltasse le caratteristiche uniche”. [Stu Korch del birrificio James Squire – cit. tratta da The Wall Street Journal, 20-05-2018]

Chi l’ha avuto il piacere di assaggiarla la descrive come una birra scura e maltata, con sentori di ribes nero e spezie. Trattasi di suggestione o di oggettiva qualificazione del prodotto? Abbiamo chiesto un parere ad Alessandro Reali, il birraio di OTUS:

“Le condizioni ambientali in cui matura la birra possono influire sulle sue qualità organolettiche.

Ciò  dipende dalle specifiche caratteristiche della cotta e dalla messa a punto del processo affinamento: è necessario curare ogni dettaglio, dal tempo di invecchiamento alla temperatura di conservazione, alle escursioni termiche, al contenitore, ecc. Fondamentale è valutare gli effetti di diversi ambienti marini.

La sperimentazione è un ambito costitutivo della cultura brassicola artigianale: senza curiosità e azzardo non vi sarebbe stata e non vi sarebbe innovazione.Recuperare un lievito vecchio secoli  è un’opera di grande valore perché amplia le nostre conoscenze.

Quanto al sapore… La degustazione di una birra non è solo questione tecnica, coinvolge la sfera delle emozioni e della cultura, la voglia di una nuova esperienza sensoriale.Una bottiglia piena di molluschi e residui marini è senza dubbio affascinante.

Ricordo quando durante la mia esperienza nei birrifici inglesi mi regalarono un barley wine invecchiato 38 anni da un anziano signore che poi scoprii essere il birraio del vecchio impianto Truman’s negli anni ’60-70.Onestamente il contenuto aveva perso molto dei pregi originari, tuttavia ricordo il tutto con grandissima emozione.”

La vicenda della birra ritrovata sotto il mare ha suscitato gli entusiasmi e l’inventiva di vari birrai. Lo scozzese Brewdog e gli italiani Le Coti Nere e Marialti Romagna Beer sono alcuni dei birrifici che si sono cimentati nell’impresa di affinare birra sotto il mare.

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"Non basta bere questa birra, bisogna godersela”.

[Oliver Köhn 2-01-2020]

Un po’ birraio un po’ pirata. Singolare è la storia della barnacles beer di Oliver Köhn.

La vicenda ha inizio nel 2020 a Cuxhaven (Bassa Sassonia), dove il vigile del fuoco Oliver Köh aiuta saltuariamente la moglie e la cognata a gestire il Cuxhavener Bierbrisen, un piccolo birrificio che intrattiene i clienti con escursioni in mare.

Oliver – che è solito intrattenere gli ospiti con appassionanti aneddoti e storie del luogo – ha un’intuizione: se quei piccoli molluschi che tanto voracemente si attaccano alle rocce, alle scogliere e soprattutto alla sua barca, facessero altrettanto con le bottiglie di birra, quale mai sarebbe il risultato? Decide di calare 50 bottiglie vicino al molo e le ripesca dopo 12 settimane, quando i cirripedi, la salsedine e le maree hanno fatto la loro parte.

Ecco come è nata la barnacles beer (birra dei cirripedi) o birra dei pirati, le cui bottiglie sembrano uscite direttamente dalla stiva della Perla Nera di Capitan Jack Sparrow.

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